Corso di Armonia ed Elementi Fisico Percettivi

Non esiste un’armonia jazz, rock o blues, esiste l’Armonia. Il corso del Cemm è organizzato in modo tale che lo studio dell’armonia avvenga in modo serio, metodico e senza alcuna lacuna o confusione nell’evoluzione didattica della materia. Il primo obbiettivo propone di spiegare le basi fisico-percettive del fenomeno acustico-musicale e, tramite queste conoscenze, di analizzare i principi di funzionamento dell’armonia. Lo scopo è quello di ripercorrere, tramite questi fondamenti, la genesi del sistema tonale (naturale) e di analizzarne poi l’“anatomia” e i suoi rapporti con le diverse forme di temperamento (laddove è possibile verrà proposta una visione che segue l’evoluzione storica del fenomeno e delle principali teorie al riguardo). Verranno infine tratte le dovute conseguenze circa le possibilità e i limiti del nostro sistema musicale. Durante il corso è previsto l’utilizzo di materiale di studio e di verifiche che si terranno individualmente con il docente stesso. Le lezioni dovranno essere correlate all’applicazione sullo strumento sia in senso melodico che armonico, così facendo il materiale di studio non rimarrà solo materiale teorico.
In fase successiva si affronterà lo studio dell’armonia tonale e di conseguenza il concetto di monotonalitá con relative relazioni allo studio completo dell’armonia funzionale. (Riteniamo che non basti solo affiancare agli accordi degli ipotetici numeri per ottenere un quadro che possa fornire tutte le spiegazioni necessarie). La fase successiva sarà quella di individuare per ogni accordo sia il grado di appartenenza che le eventuali tensioni disponibili tramite le quali si potrà determinare la funzionalità specifica del grado all’interno del brano preso in esame. Possiamo dire che gli accordi funzionali si dividono in due categorie, accordi ordinati, che appartengono alla tonalità, e accordi subordinati che, pur non appartenendo alla tonalità, si muovono in stretta relazione verso gli accordi ordinati ampliando il sistema cadenzale.
Come spesso accade in fase di analisi bisognerà tenere presente anche la melodia e il suo andamento, sarà quindi necessario imparare ad analizzare l’intera struttura musicale al fine di riconoscere le principali variazioni melodiche che la caratterizzano, come ad esempio i passing tones, le escape notes, le auxiliary notes e tutte le forme di variazione della melodia e del ritmo. Qualunque sia la forma di approccio legata allo studio dell’armonia questa deve essere correlata alla musica in modo chiaro e musicale, offrendo sempre delle strategie che possano servire alla composizione e all’analisi, ricordando sempre che nessuno inventa nulla oggi, soprattutto in una fase storica dove tutta la materia legata all’armonia funzionale, tonale, modale o altro è già stata codificata e sperimentata ampiamente ma soprattutto elaborata e utilizzata in un periodo storico ben definito.

Ritmo Analitico Compositivo

Ritmo analitico compositivo: obiettivo del corso sarà l’apprendimento delle principali tecniche di analisi e di rielaborazione della forma melodica, scritta e/o improvvisata, tipica del patrimonio musicale contemporaneo di tradizione afroamericana. Le lezioni saranno finalizzate all’organizzazione didattica e alla pratica strumentale, in forma di laboratori di musica d’insieme, di tutto il materiale teorico trattato, con l’adozione di concetti specifici per ogni problematica affrontata sul campo. In fase di studio di un tema o di un solo, non si può prescindere dalla conoscenza delle necessarie componenti strutturali del ritmo e delle gerarchie proprie della composizione musicale, dal trattamento di un modello accentuativo allo spostamento dei punti di attacco di una frase, dall’individuazione di una cellula motivica all’organizzazione superiore di più periodi musicali. Cos’è un “ictus melodico”? Come faccio a slegarmi da un concetto accademico di battuta e di frazione metrica? Un problema, spesso sottovalutato, riguarda la gestione di tutti quegli elementi di alterazione intervallare e ritmica (trasposizioni, inversioni, sincopi, anticipi, terzine, ritardi, gruppi irregolari, etc.) attraverso i quali è possibile differenziare un motivo da un altro e spostare di conseguenza l’intero equilibrio e la direzione delle frasi nel contesto di un brano. Si valuteranno inoltre le numerose possibilità che comporta la costruzione di una solida impalcatura melodica, la distribuzione degli accenti, lo spazio di bilanciamento tra le pause, l’isolamento ritmico delle tensioni melodiche (nel contesto di un’adeguata analisi funzionale armonica), la gestione delle simmetrie micro e macro compositive, insomma tutto ciò che contribuisce al buon funzionamento dell’intera struttura musicale.

Corso di Armonia Modale

Se pensiamo alla possibilità di suonare brani prettamente modali dobbiamo porci delle domande a priori. Ad esempio, cosa significa esattamente suonare musica modale?

Sicuramente non è possibile, nè tanto meno realistico, trattare un brano jazz modale come se stessimo suonando un brano di jazz tonale, soprattutto considerando che il periodo storico in cui si sviluppa l’approccio modale è essenzialmente differente. È chiaro che, essendo stato il jazz modale introdotto nel ’58, il periodo del Be-Bop e dell’Hard Bop sono già stati superati. Il jazz modale inizia con John Coltrane, George Russel, Miles Davis e altri musicisti provenienti da università come la Juilliard, mentre Herbie Hancock insieme a Wayne Shorter diventeranno i compositori della musica del Novecento. Non dimentichiamo che in Europa il movimento dell’area contemporanea si concentra a Parigi, più specificatamente all’IRCAM, dove molti musicisti europei ed italiani, tra cui Maderna, Dallapiccola, Berio e altri ancora, fanno sì che molti musicisti anche jazz vengano influenzati da questo tipo di strategia e di conseguenza da sonorità che soffieranno nel jazz europeo e nel jazz di estrazione contemporanea. Infatti il jazz modale ha caratteristiche perfettamente riconoscibili in molti brani modali, ad esempio, la mancanza del centro tonale o una ridotta serie di note che non potrà evidenziare completamente la modalità. Il posizionamento ritmico sarà essenziale per aver chiara la gerarchia delle note dato che la mancanza della serie armonica completa renderà difficile l’identificazione della modalità del brano e quindi l’assegnazione di scale specifiche, chiamate appunto modali. Il percorso propone uno studio analitico e pratico affinchè si possano affrontare realmente le problematiche della musica modale in generale e, solo dopo aver preso dimestichezza con la modalità, potremo avventurarci in contesti prettamente jazzistici. Nella prima fase del corso dovremo affrontare alcune materie che spesso nell’armonia tonale o funzionale sono praticamente inesistenti, in quanto è sufficiente catalogare bene l’uso delle funzioni e delle tensioni. Nella musica modale sarà indispensabile uno studio dell’acustica musicale per stabilire i corretti rapporti di frequenza, la gestione degli overtones e dei subarmonici, così da creare la completa gamma sonora dei limiti V, VI,VII degli spazi armonici dai quali potremo ottenere le giuste note senza lasciare al caso la scelta. Un errore frequente, quando in una serie modale manca una nota, è quello di non sapere quale nota scegliere e questo perchè non abbiamo tenuto conto dello spazio armonico che ne consegue. Ricordiamo che il jazz modale arriva dalla contaminazione della musica modale classica e molti musicisti di estrazione classica contemporanea rivoluzioneranno il jazz apportando nuove strategie compositive e improvvisative

Ear training

L’”Ear training” e cioè l’allenamento dell’orecchio musicale è quella disciplina che affina la capacità di discernere i vari elementi del discorso musicale tramite l’ascolto.

Questi elementi: altezza dei suoni, rapporto tra i suoni, melodie, accordi, progressioni armoniche, scale, modi, ritmo, metro, articolazione, timbro, dinamica etc. vengono affrontati separatamente per permettere lo sviluppo di una memoria uditiva di riferimento.

In genere queste informazioni musicali sono già istintivamente presenti in ognuno di noi. Anche chi non ha conoscenze musicali di nessun tipo è in grado di cantare delle canzoni a memoria, spesso anche in maniera accurata. Sovente capita di trovare strumentisti che suonano “a orecchio” non sapendo leggere la musica. Il che significa che nella nostra memoria queste informazioni musicali sono “immagazzinate” in maniera permanente e facilmente raggiungibile.

L’Ear training quindi permette un miglior tuning di questo sistema già esistente in modo che sia funzionale a chi vuol affrontare seriamente lo studio della musica.

Lo studio dell’”ear training” allena lo studente a riconoscere ad orecchio “cosa sta succedendo” in un brano musicale: dalle componenti più istintivamente riconoscibili come il timbro (chi non saprebbe distinguere il suono di un pianoforte dal suono di una tromba?) alle componenti meno immediate come riconoscere le note che compongono una melodia, gli accordi che l’accompagnano etc.

L’allenamento avviene progressivamente per esempio iniziando con semplici relazioni di due suoni (intervalli), con brevi melodie (sequenze di più suoni con un’idea tematica identificabile) o, per far riferimento al ritmo, si inizia identificando le cellule ritmiche elementari ed i metri più comuni intensificandone via via le complessità.

Utilizza l’orecchio relativo e cioè la capacità di riconoscere i rapporti tra i suoni indipendentemente dalla loro altezza assoluta che, a differenza dell’orecchio assoluto (che invece identifica esattamente l’altezza assoluta del suono e quindi il nome della nota) è più agevolmente affrontabile.

La verifica dell’accuratezza dell’ascolto è fatta tramite esercizi di call and response e dettati musicali: dal suono alla carta! …. e quindi di conseguenza si affronta anche lo studio degli elementi essenziali della notazione musicale per chi non ne ha una conoscenza minima necessaria.

E per inverso si utilizzerà la memoria musicale costruita tramite l’esperienze di ascolto per “sentire come suona” una partitura musicale scritta senza averla ascoltata precedentemente: dalla “carta” al suono.

Uno spazio viene anche dedicato al “performance ear training” e cioè a riprodurre sul proprio strumento il materiale sonoro appena ascoltato sia ritmico che melodico.

Storia della Musica

Perché un corso di storia della musica? A che pro? Serve? E se si, a cosa o a chi serve? Forse a chi si vuole occupare di musica da un punto di vista puramente teorico, o ne vorrebbe eventualmente scrivere, più che suonarla… A chi invece intende la musica come pratica strumentale, spesso viene da chiedersi: “Ma studiare la storia mi aiuta a suonare meglio?” E la risposta prima, di getto e senza stare troppo a ragionare sulle varie ed eventuali implicazioni, potrebbe essere che no, in fondo posso suonare ugualmente anche senza sapere una serie di cose legate a quello che faccio in musica, in fondo quello che conta è altro, è studiare lo strumento, le sue tecniche, il repertorio, essere efficienti da un punto di vista pratico, il resto è spesso relegato ad un ambito secondario, ci sarà tempo, prima o poi, per occuparsi anche di quello…il fatto è che quel tempo, quel poi, alla fine, e più spesso che no, non arriva mai, e in questo modo vaghiamo in un limbo, temporale innanzitutto, che ci impedisce di fare collegamenti, di capire come mai gli accadimenti si siano succeduti in un certo modo piuttosto che in un altro, abbiamo solo una vaga idea del dove e come collocare storicamente i protagonisti della musica che scegliamo di suonare, di qualunque musica si tratti, e sostanzialmente non riusciamo ad avere una visione “panoramica” di tutto ciò che ci ha preceduto. Se però consideriamo che il rapporto tra presente e passato, sia prossimo che remoto, è un rapporto di tipo dialettico, e che tutto ciò che ci ha preceduto è direttamente collegato e in qualche modo “responsabile” di ciò che abbiamo come eredità oggi ( e che cioè vediamo, utilizziamo, di cui parliamo e ragioniamo, ed a cui persino ci appassioniamo), ecco che la domanda posta all’inizio (ma conoscere la storia mi aiuta a suonare meglio?) assume una diversa connotazione, e può forse essere collocata sotto una luce diversa. Siamo sempre nell’ambito della consapevolezza di quello che siamo e che facciamo, e scoprire una serie di risvolti “storici”, che magari avevamo sotto gli occhi, ma di cui non ci eravamo mai accorti, ci può aiutare a capire meglio, quello che facciamo, come e perché, e in fondo anche quello che siamo. Detto tutto questo, forse si, conoscere la storia ci aiuta a capire il presente, in generale ed in particolare, e molto probabilmente anche a suonare “meglio”